Vi presentiamo il primo capitolo di Matefinder - Il dono, il primo volume fantasy della serie Matefinder di Leia Stone edito Hope Edizioni.
I fari della mia Jetta nera illuminavano la notte mentre guidavo sulla strada tortuosa che portava al Monte Hood. La mia coinquilina mi aveva convinto a concedermi una pausa dalla mia vita frenetica e ad andare in montagna, a casa dei suoi genitori. L’orologio sul cruscotto segnava quasi la mezzanotte e io iniziavo a sentire il peso di tutte le ore di viaggio da Portland, quando decisi di fermarmi a prendere un caffè in una stazione di servizio. Scendendo dall’auto, imprecai in silenzio contro la pioggia leggera. Indossavo ancora i pantaloni da yoga e il top aderente che portavo durante la lezione del mio corso di autodifesa per donne. La giacca antipioggia era sepolta sul fondo del borsone, nel bagagliaio. Attraversando il parcheggio, tenevo strette in mano le chiavi e la carta di credito, che mi caddero quando inciampai saltando sul marciapiede. Per fortuna, riuscii a ritrovare l’equilibrio prima di finire anche con la faccia per terra. Che classe, Aurora. Mi chinai per raccogliere le chiavi proprio mentre la porta a vetri si apriva, mi rialzai in fretta per paura di essere calpestata, e mi trovai faccia a faccia con uno splendido ragazzo poco oltre la ventina. Ehilà. Era a un soffio da me e mi fissava con intensità. Aveva la pelle ambrata, delle tonalità indiane, con lunghi capelli color cioccolato che scendevano intorno alla mascella forte. Alto oltre un metro e ottanta, era fatto di muscoli duri come la roccia. I miei occhi scivolarono lungo il suo corpo mentre coglievo il suo torso nudo e gli addominali scolpiti. Indossava dei pantaloni di tuta ed era a piedi nudi. Che strano. Feci del mio meglio per non squadrarlo completamente, ma quella era una tartaruga? Arrossii quando lui mi sorprese a guardarlo.
«Ciao.» Mi rivolse un sorriso pieno di denti bianchi e fossette. La sua voce baritonale mi riscaldò lo stomaco. Deglutii forte. «Ciao.» L’aria era carica di una chimica tangibile. Mi sembrava di averlo già incontrato prima, anche se ero certa che avrei ricordato un ragazzo come lui. Un giovane dai capelli biondo scuro, altrettanto attraente, si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla. «Torniamo alla nostra corsa?» gli chiese.
Risvegliata dalla mia trance, sorrisi debolmente e passai accanto all’uomo alto, scuro e meraviglioso. Mentre il suo braccio sfiorava il mio, sentii di nuovo scaldarsi lo stomaco. Dannazione, da quanto non avevo un appuntamento? I miei ormoni stavano impazzendo. Calmati, ragazza. Quel tipo poteva essere un serial killer, per quel che ne sapevo. La porta si chiuse alle mie spalle e ordinai da bere, godendo dell’odore di una bella tazza di caffè appena fatto che mi riportava alla mente le due cose che amo di più al mattino: il caffè, appunto, unito al rumore dei miei pugni che colpiscono un sacco da boxe. Il primo mi sveglia, l’altro mi fa sentire al sicuro, entrambi ugualmente importanti per affrontare la giornata. Dopo aver pagato, tornai alla macchina giusto in tempo per vedere i due ragazzi entrare nel bosco. Non molte persone vagano per la montagna dopo mezzanotte… scalze. Mhhh, decisamente serial killer. I ragazzi sexy sono sempre i più contorti. Sorseggiando il mio caffè caldo, sospirai. Altri trenta minuti e mi sarei rannicchiata nel mio rifugio di montagna, magari bevendo del buon vino. Avevo davvero bisogno di questo fine settimana di relax. Imboccai di nuovo la strada principale, una corsia unica e tortuosa. Una fitta nebbia si era depositata sul terreno, permettendo una scarsa visibilità. Il classico meteo dell’Oregon. La mia mente vagò verso il ragazzo alla stazione di servizio; sembrava diverso. Battuta sul serial killer a parte, non riuscivo a liberarmi dalla sensazione di averlo già conosciuto, come fosse un déjà vu. Forse sarei dovuta restare e parlargli. Guardai l’orologio sul cruscotto per una frazione di secondo proprio mentre stavo arrivando in prossimità di una curva, e quando tornai con lo sguardo sulla strada, notai di fronte a me una mamma cervo con i suoi due cuccioli. Merda! Non pensai… Spinsi col piede sul freno, sterzai con forza verso sinistra sfondando il fragile guardrail arrugginito e, in un attimo, la mia macchina era in volo giù dalla montagna. Gli incidenti sono così strani. Da spettatore, durano in tutto un paio di secondi, ma quando ci sei dentro sembrano trascinarsi per un tempo molto più lungo. Sapevo che non era un buon segno che la mia macchina stesse sfrecciando nell’aria e che sarebbe stato un incidente orribile, ma non c’era nulla che potessi fare. Oh Dio, perché cavolo dovevo essere vegetariana? Un carnivoro avrebbe investito quei cervi senza farsi problemi. Mentre passavo oltre le cime degli alberi e volavo giù dall’argine, le uniche cose che riuscivo a fare erano trattenere il respiro e prepararmi all’impatto. La mia macchina colpì il terreno sottostante con una tale forza che la mia testa ruppe il cruscotto, e tutto divenne nero.
* * *
Quando mi ripresi, mi resi conto che il mio corpo pendeva per metà fuori dallo sportello aperto della macchina. Oh, merda… L’incidente. Provai a muovermi, ma un lamento mi sfuggì dalla gola quando una fitta di dolore mi accese il corpo. Pur non volendo, abbassai lo sguardo, cercando di capire da dove provenisse la sensazione calda e umida che sentivo all’altezza dell’addome. Urlai quando vidi il grosso ramo di un albero che mi sporgeva dalla pancia.
Oh, Dio. No. L’adrenalina pulsava nel mio corpo mentre il panico dilagava in me. Stavo per morire. Attirata da un rumore di passi, mi guardai intorno e vidi qualcuno in lontananza. La mia vista però era offuscata e riconobbi il ragazzo della stazione di servizio solo quando fu molto vicino. I suoi occhi erano grandi e… gialli? Il ronzio nella mia testa si era fatto più forte e iniziavo a sentirmi debole e fredda. Tremavo e non riuscivo a parlare mentre la paura mi attanagliava. Stavo per morire qui, nei boschi, di fronte al serial killer. Non c’era nulla che potessi fare. Che sensazione orribile, l’impotenza. All’improvviso, quel tipo si tolse i pantaloni, rimanendo completamente nudo davanti a me. Ma che cavolo? Prima che potessi elaborare la cosa, vidi i peli sulle sue braccia incresparsi e infoltirsi e sentii il rumore delle sue ossa che si spezzavano, prima che si piegasse a quattro zampe mentre i muscoli dei suoi arti si gonfiavano facendogli assumere le sembianze di un animale. Tutto ad un tratto, a fissarmi con occhi penetranti e ramati c’era un enorme lupo nero. Allucinazioni, ecco cosa succedeva prima di morire. Troppo sangue perso ti faceva vedere esseri umani come lupi mostruosi. Entravi in un folle mondo dei sogni. Sì, era questa la spiegazione. Il lupo che stavo immaginando si avvicinò a me con quegli occhi gialli e scoprì i denti affilati come rasoi. Oh merda, pessimo sogno.
«No, ti prego,» piagnucolai perché, mentre si avvicinava, la saliva luccicante sui suoi denti sembrava troppo reale, e riuscivo a sentire la puzza di animale su di lui. Pensai a tutte le cose che avevo ancora da fare nella vita; erano così tante. Non ero pronta a morire. Quando mi balzò addosso, mi sfuggì un urlo spaventato e, mentre i suoi denti affondavano nella mia carne, il dolore esplose in tutto il mio corpo.
«Sei mia.» La sua voce echeggiò nella mia mente e ne assunse il controllo, prima che crollassi in uno stato onirico in cui non riuscivo a distinguere la realtà dalle visioni.
* * *
Dolore ovunque. Ogni cellula del mio corpo soffriva ed ero sul punto di perdere di nuovo coscienza. «Resta con me. Ti prego, sopravvivi» disse la voce dell’uomo della stazione di servizio, e sentii una mano accarezzarmi il viso. L’ultima immagine a cui pensai prima di perdere i sensi fu quella del mio corpo disteso sulla strada che portava al Monte Hood e l’uomo alto e scuro, che trasformatosi in un lupo, mi mordeva.
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