giovedì 7 gennaio 2021

RECENSIONE "Un giorno tutto questo" di Andrea Lerario + INTERVISTA ALL'AUTORE

 



TITOLO: Un giorno tutto questo
SERIE: autoconclusivo
AUTORE: Andrea Lerario
DATA DI PUBBLICAZIONE: 30 Ottobre 2020
EDITORE: Casta Editore
GENERE: noir 
AMBIENTAZIONE: Sicilia
FINALE: chiuso
PROTAGONISTA: Turi Di Dio, maresciallo di Racitta.





TRAMA

L'estate, a Racitta, si è appena conclusa con tre grosse rapine e uno strano funerale. Due autentici rebus per il maresciallo Turi Di Dio, comandante della stazione dei Carabinieri, perennemente distratto da tutta una serie di questioni private dalle quali rifugge, dal suo matrimonio a due passi dal crollo e da un incubo oscuro che ogni notte lo strappa via al sonno. Si difende, Di Dio, confortato dal cibo, dalla grappa barrique, dal tabacco Virginia che si rolla da solo, dalla musica in cuffia quando il mondo urla troppo e dall'eterna amicizia di Johnny Romano e del capitano Morgante. Sullo sfondo c'è il mare, una bella canzone, quattro donne e un amore per ciascuna diverso, e un'estate ormai stanca che abdica all'autunno. Sarà il suo solito incubo a guidarlo verso la soluzione e, più di tutto, a insegnargli come a volte il passato sia un tempo che arretra solo avanzando, lento e strisciante, come la coda di una lucertola.

RECENSIONE

Un giorno tutto questo è il noir di Andrea Lerario che ci fa immergere nella città immaginaria di Racitta, situata sulla costa siciliana e i cui abitanti sono per la maggior parte anziani. Fin dalla prima pagina il lettore viene avvolto da un’atmosfera che diventa via via sempre più misteriosa, cammina tra le strade del paesino, sente gli odori e i profumi del cibo, il rumore dei ricordi passati che si va a scontrare con il presente. Protagonista della storia è il maresciallo e comandante della stazione carabinieri Turi Di Dio, un uomo testardo e determinato, mosso dalla giustizia e dall’integrità, che mette al primo posto il lavoro e deciso a risolvere ogni caso che gli arriva tra le mani. Un uomo imperfetto come tutti noi, con sogni e desideri infranti, con pochi pregi e tanti vizi e difetti, e una fragilità latente nascosta dietro una corazza ben salda. Nella sua tranquilla cittadina di Racitta cominciano a verificarsi strani fenomeni: tre grosse rapine e uno strano funerale. Cosa sta succedendo? Qual è la verità che si nasconde dietro questi eventi? I ricordi sono dolorosi e inflessibili, lo serrano nella loro morsa e lo tengono ancorato al passato, rappresentando così il suo peggior incubo. Ci viene presentato come un personaggio complesso e umano, con una personalità che è frutto di un passato che l’ha plasmato. Passo dopo passo, tassello dopo tassello, indizio dopo indizio, in un climax ascendente che ci trasmette tensione e curiosità, l’autore ci accompagna insieme a Turi alla ricerca della verità in un paesino italiano come il nostro, in cui vivono uomini immorali e corrotti pronti a tutto per il potere. La scrittura dell’autore è curata e magistrale, con un ritmo perfetto, né troppo lento né veloce, che ci fa assaporare ogni evento e ci fa conoscere l’umanità e i difetti di ogni personaggio. Pregevole è la caratterizzazione del protagonista, delineato in ogni sfaccettatura che compone la sua personalità, dalla forza alle fragilità, dal dolore all’elaborazione del lutto. Nella storia troverete dialoghi nel dialetto siciliano che io sono riuscita a comprendere perfettamente ma che probabilmente chi non conosce la lingua avrà qualche difficoltà a capire. Un libro consigliato a chi ama i noir e le atmosfere misteriose. 


Raffaella









INTERVISTA ALL'AUTORE


1. Come è nata l’idea per “Un giorno tutto questo”?

Ho iniziato a scrivere questa storia nel 2018, alla fine di marzo, un mese dopo la pubblicazione del mio precedente romanzo “L'ultima notte di Rocco Bellavia”. L'idea di partenza era quella di sfruttare - peraltro anche bassamente - il pretesto del giallo per far ruotare tutta la vicenda intorno alla figura di un uomo di legge, un maresciallo dei carabinieri, cercando però di mettere a fuoco le sue personali debolezze più che le sue qualità professionali. Volevo raccontare l'uomo, insomma, un uomo qualunque, un uomo dei giorni nostri, il cui vivere è in bilico tra dovere e piacere, tra passato e presente, tra vizi evidenti e qualche vaga virtù, musica e grappa, tra lavoro e famiglia, e, più di tutto, tra se stesso e il suo doppio.
È un romanzo volutamente lento, come lento è, del resto, il cammino di chi avanza controvento.


2. Come hai creato i personaggi della storia? C’è qualcosa di te in loro?

Quei personaggi li portavo dentro di me da un bel po' di anni, alcuni da sempre. Vedi, potrei dirti di no, che di me non c'è nulla in nessuno di essi, ma ti direi il falso. Non è facile astrarsi completamente quando scrivi una storia a cui tieni davvero. Una cosa puoi farla, però: puoi utilizzare la scrittura per deformare la realtà; puoi persino afferrare un pezzetto di te e scaraventarlo su un foglio aspettando che muoia, oppure, alla peggio, che rinasca migliore.


3. Qual è stata la parte del romanzo più difficile da scrivere, e perché?

Una volta Gustave Flaubert, trovandosi a dialogare di letteratura col suo amico di sempre, Guy de Maupassant, disse: «Un grande tentativo, e anche molto originale, sarebbe poter dare alla prosa il ritmo del verso, ma lasciandola prosa».

Un tentativo ambizioso, quello ipotizzato da Flaubert, che pure è presente in questo mio romanzo nel quale ho giocato, com'è mia abitudine, a far coesistere - spero amabilmente - prosa e poesia. Un'operazione impegnativa, direi, più che difficoltosa.
La vera difficoltà, invece, l'ho incontrata a pag. 137, nell'imbastire la lunga lettera che, a un certo punto della storia, Marcella scrive al proprio uomo: ecco, quella lettera l'avrò scritta e cancellata almeno venti volte, perché non mi riusciva di scriverla “con la voce di donna”.


4. Come hai creato l’ambientazione?

L'ambientazione nella quale mi muovo è sempre la stessa: Racitta, un piccolo borgo siciliano bagnato dal mare che racchiude la mia personalissima idea di Sicilia. Un'idea assolutamente improbabile e fuori dal tempo, lo ammetto. Tant'è che Racitta, visto che non esiste, ho dovuto inventarmela.


5. Cosa vorresti che il lettore riuscisse a comprendere leggendo il libro?

Mi piacerebbe che cogliesse il significato autentico del titolo. Un giorno tutto questo, per l'appunto, che è di per sé il passe-partout che apre e chiude il romanzo.


6. Quando hai cominciato a scrivere? Hai sempre avuto la passione per la scrittura?

Ho iniziato a leggere da bambino, più per noia che per interesse. Negli anni settanta non c'era granché da fare e la lettura mi sembrava un ottimo svago. Mia madre custodiva un buon numero di libri nella piccola libreria di casa. C'era di tutto, da Ungaretti a Montale, da Calvino a D'Annunzio, passando per Wilde, Hugo e Meireles. Ma la vera folgorazione la ebbi a scuola, dopo aver letto “L'uomo dal fiore in bocca” di Pirandello e, a seguire, “Il vento nel vigneto” di Sgorlon: per motivi diametralmente opposti, le considero ancora oggi le mie due letture più travolgenti in assoluto. I miei primi tentativi di scrittura, invece, risalgono agli anni ottanta, attraverso un numero esagerato di poesie delle quali – per fortuna! - non esiste più traccia. Con la prosa ho iniziato molto tardi. Vedi, scrivere richiede costanza e disciplina, due cose che non mi sono mai appartenute da giovane ma che, in piccola parte, penso di aver acquisito in età matura.


7. Com’è nata la collaborazione con Casta Editore?

In maniera del tutto fortuita. Nel 2017, dopo aver concluso la stesura del primo romanzo, ero alla ricerca disperata di un editore. Ricordo di aver inviato il manoscritto a mezza Italia. Alla sessantasettesima mail inviata, dopo aver ricevuto risposte e proposte di ogni tipo, conobbi Giuseppe Castagnolo. Con lui si sviluppò subito un'intesa perfetta. Ci lega la nostra sicilianità e, soprattutto, un rapporto di forte stima reciproca.


8. A quando il prossimo romanzo? Tratterai un genere diverso o ti focalizzerai ancora su questo?

Pagherei per saperlo, credimi!

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